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Olbia 24notiziealgheroOpinioniAgricolturaSu Mamuntanas e Surigheddu, si fa solo cassa
Ferdinando Manconi 29 giugno 2017
L'opinione di Ferdinando Manconi
Su Mamuntanas e Surigheddu, si fa solo cassa


Con Deliberazione n.31/24 del 27/6/2017, il presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, di concerto con l’assessore degli Enti locali, Finanze e Urbanistica Cristiano Erriu, ha disposto di procedere all’alienazione delle due aziende storiche di Mamuntanas e Surigheddu poste nell’agro di Alghero. Trattasi di compendio agricolo di circa 1100ettari considerato che, ai 1200ettari iniziali, andranno sottratti gli spazi già nella disponibilità dell’Università degli studi di Sassari, dell’Istituto zooprofilatico della Sardegna, dell’Enas e del Consorzio di bonifica della Nurra. Il valore stimato di vendita delle predette aziende ammonterebbe a poco meno di 11milioni di euro che, tuttavia, potrebbero, all’atto effettivo di compravendita, essere ridotti del 25percento a causa dell’intenzione di alienare le aziende pro indiviso e di un ulteriore stimato 30percento per via dell’occupazione dei suoli da parte di alcuni allevatori (si è prospettata la possibilità di destinare, in alternativa, il 15percento dell’intera superficie agli attuali occupanti, quali locatori o acquirenti). In considerazione di siffatti “scomodi” e degli adempimenti propedeutici alla vendita, quali la regolarizzazione catastale dei fabbricati, le spese legali e notarili, i proventi della vendita potranno, difficilmente, superare i 6milioni di euro. Il detto quantum, se rapportato all’unità di superficie, avrà un valore unitario di 5500euro ad ettaro (volumetrie comprese) che riferito a terreni fertili, irrigui, seminativi e pianeggianti, quali quelli oggetti di vendita, potrebbe apparire quantomeno sottostimato.

Un’operazione, questa della Ras, volta principalmente, sembrerebbe, più “a far cassa” che a liquidare ad un congruo valore di mercato un bene quasi unico in Sardegna. E’, infatti, vero che se, da una parte, l’indivisibilità del cespite potrebbe rappresentare un limite alla vendita, dall’altra, nel caso di beni fondiari, la presenza di un unico accorpamento aziendale rappresenterebbe indiscutibilmente un vantaggio. E’, peraltro, la stessa esplorazione preliminare di mercato (oltre ad una opportuna conoscenza del mercato fondiario) a suggerire tale considerazione: più della metà delle intenzioni di acquisto emerse dall’indagine esplorativa (cinque su nove) hanno espresso la preferenza di un unico lotto. Non si comprende, dunque, la ragione dell’adombrato 25percento in meno, al pari di una scontistica promozionale. Discorso a parte meriterebbero, poi, i fabbricati quivi insistenti: 17500metri quadri di superficie coperta. Una vera manna dal cielo per gli acquirenti del caso, atteso che la nuova Legge Urbanistica, denominata “Disciplina generale per il governo del territorio”, voluta dallo stesso onorevole Erriu, ove dovesse andare in porto, al comma 8, dell’art. A.7, dell’allegato A, recita testualmente: “in tutti i casi previsti al comma 7 (nuovi edifici strumentali alla produzione, nda.), la superficie utile non può superare mq700, comprensivi dei fabbricati esistenti (…)”. Idem come sopra, viene da domandarsi il perché, simile fattispecie, non sia stata computata tra i cosiddetti “comodi” della valutazione immobiliare.

La monetizzazione delle due aziende storiche rappresenta un aspetto importante della decantata valorizzazione dell’area, di qui la sua voluta privatizzazione, ma non di certo l’unico. Dalle informazioni contenute nella Delibera e dalle dichiarazioni apparse sulla stampa non si evincerebbero vincoli di utilizzo del bene e/o oneri di sorta a carico dei compratori (eccezion fatta per l’acquisto in un unico lotto) e ciò impedirebbe la delineazione di uno scenario di sviluppo futuro certo e rispondente agli auspici esternati dalla Ras. Le due tenute di Mamuntanas e Surigheddu potrebbero, di conseguenza, essere interessate dalle più disparate azioni di investimenti tese, a sperar bene, allo sviluppo e recupero dell’identità dei luoghi, ma potrebbe trattarsi di sfruttamento dell’area o financo, data l’assenza di controllo in capo agli alienanti, di assenza di interventi e l’abbandono in attesa di più promettenti condizioni di mercato. Eppure, solo pochi anni fa, l’Amministrazione algherese, di concerto con l’Agenzia Regionale Laore e l’allora governatore della Regione Sardegna Soru, fu in grado di approntare un piano di sviluppo per quel compendio agricolo in grado di garantire occupazione, multifunzionalità e fruizione del territorio. Un percorso perfettibile, ma sicuramente più interessante di una mera vendita.

Alienare un bene significa privarsene, cederlo a terzi, e, nel caso di specie, depauperare il patrimonio pubblico, collettivo; a ciò si sommerebbe, cosa ben più grave, la perdita della memoria storica e delle potenzialità che lo caratterizzano. Una concessione a privati, qualificati, con la supervisione pubblica (Laore) della realizzazione degli interventi progettati, sarebbe, forse, una soluzione che meglio potrebbe contemperare gli interessi coinvolti. Simili scelte hanno il limite di non consentire ripensamenti. Sarebbe, pertanto, opportuno fare una pausa, riflettervi attentamente e maturare un confronto sereno con tutti i portatori di interesse, Amministrazione comunale di Alghero in primis, al fine di comprendere quale sia il futuro più auspicabile per questa porzione della nostra storia. Siamo certi che Alghero e gli algheresi siano pronti a tutto questo? Siamo certi che degli amministratori pro tempore possano farsi carico di un simile fardello?

*dottore agronomo, Circolo Terrestri
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